In queste sere leggo Adriana Zarri. Una scoperta piacevole. Una donna in cui si rispecchia un aspetto di me, una parte di me che a volte mi spaventa. Perché è la parte che esprime il bisogno e la voglia di isolarmi, di vivere sola e lontano da tutto, di immergermi completamente nella natura. Credo che questo desiderio, che ogni tanto sento forte, sia in realtà un bisogno di liberarmi da certe convenzioni, costrizioni e dipendenze che inevitabilmente ci portiamo dietro se viviamo nella società. E per me è difficile liberarmene standoci dentro. Sarebbe più facile, abbandonando tutto. Ma non ne ho il coraggio. Lo faccio solo per brevissimi periodi. Eppure intravedo in questo tipo di vita una via di fuga e una risorsa a cui forse dovrò iniziare ad attingere. Per nutrirmi, nutrirmi meglio.
Leggendo Adriana Zarri mi riconosco in molti suoi pensieri, e molte sue riflessioni mi stupiscono e mi affascinano.
"... in questa civiltà capitalista dell'utilitarismo che, di ogni cosa, si domanda: A cosa serve? [...] A chi ci chiede "a cosa serve" bisogna dire, scandalosamente, che la preghiera non serve a nulla; come non serve a nulla l'amore, l'arte, la bellezza....
Nell'accezione consumistica [...] la preghiera non serve: è un bel mazzo di fiori che mettiamo sul tavolo. Potremmo farne a meno: si mangia lo stesso. Però non si pranza, non si cena. La dimensione della convivialità ha bisogno di un poco di gratuito: i fiori sul tavolo, o i mici sotto, o la tovaglia colorata, o anche il nostro sorriso. Neanche sorridere serve. La bocca si apre utilmente per mangiare e per dare direttive; il sorriso è un di più.
A questo mondo disumano, fatto di direttive di risultati tangibili, distribuiamo sorrisi, fiori, baci, gatti, musica, sogni, preghiere, gratuità. Questo è il maggiore affronto, la controcultura più profonda."
Da "Un eremo non è un guscio di lumaca", Adriana Zarri, Einaudi